Sul filo sottile dell’assenza
Sono lame affilate, distanza e silenzio.
Il mio cuore non ama i recinti.
Una volta caduta la veste dorata,
Della gabbia non resta che ruggine e ferro.
Riyueren
… quanta parte della nostra vita ha conosciuto una o più gabbie? Tra le sbarre, al sicuro: paura di volare, di cadere, di non avere le ali … paura di vivere.
Oppure nelle gabbie di parole altrui, sbarre dorate di menzogne, dolci attenzioni (troppo miele: il ragno nascosto, dov’è?).
“Delicati aromi di sandalo, tè verde e vaniglia” così vogliono vedere la mia essenza, come un profumo canterino che si dondola rispettoso … nella gabbia dorata … e anche grato, magari … Ma se sorridendo scopro un poco le zanne, se comincio a limare le sbarre con parole decise … allora divento “rozza”: strano modo per definire una creatura strana e selvaggia.
Io non ci sto bene nelle gabbie, nemmeno nelle mie, figuriamoci in quelle altrui. E poi non sono “una da gruppi”: mai stata.
Mi hanno insegnato bene a stare da sola, lo hanno fatto a colpi di parole, sapientemente assestati, quei suoni che stridono, dissonanti, all’interno di melodie all’apparenza tutte armoniose: sono una che impara in fretta.
Non è colpa mia se amo sentire il vento anche sulle ali, non solo sul viso.
E se spezzo le sbarre limandole con immagini e parole.
E se ho imparato a vedere il ferro e la ruggine al di sotto di una placca dorata.
Un lupo cattivo?...no, un passerotto arruffato (ma sinceramente un po’ stufo di vedere lupi travestiti da agnelli).
Quando, nel mondo in cui vivi, la Disonestà è fatta passare per furbizia (o addirittura viene premiata come intelligenza) c’è poco da stare allegri ed è meglio cominciare a vedere dove sono le sbarre, perché ce ne sono anche di invisibili. E sono le peggiori.
Rischi di passare la tua vita in gabbia convinta di vivere libera.
E non importa quanto è spaziosa, è pur sempre una gabbia.
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