sabato 30 marzo 2013

Buona Pasqua

Auguri Pasqua 2013


Vi lascio i miei Auguri di Buona Pasqua, che possiate trascorrerla in serenità e armonia insieme alle persone che amate.

Un augurio... a blog unificati, perché il mio abbraccio vi raggiunga tutti.

Un momento di "passaggio", la Pasqua: spero che questo del 2013 sia un passaggio di Pace attraverso i nostri cuori, ma duri molto a lungo, a dispetto di tutta l'effimera realtà del mondo.


Mir

giovedì 28 marzo 2013

Quando le cose chiamano i miei occhi....

Un pomeriggio al mare


Quando le cose chiamano i miei occhi,
il vento porta nel mio cuore un canto
ed il mio sguardo è un'eco che risponde.

Riyueren


Pomeriggio al mare


La fotografia, per me, è proprio questo. Ascoltare con il cuore, lasciarlo aperto per far entrare le numerose voci di tutto quello che mi circonda e rispondere a quel canto (perché di canto si tratta) attraverso lo sguardo, con un'immagine in cui le cose ed io veniamo a coincidere, perché abbiamo un'origine comune, siamo vibrazioni, effimere nella forma ma eterne nell'essenza.


Mir

martedì 26 marzo 2013

Beethoven - Gli ascolti (link n°3) a cura di Giovanni

Giovanni mi ha fatto notare che oggi è il 186° anniversario della morte di Beethoven e mi ha suggerito di ricordare questo grande compositore inserendo un altro link di ascolto.





Subito prima delle citate ultime tre Sonate (opp.109, 110 e 111), Beethoven compone l’equivalente pianistico della Sinfonia n.9. La Sonata op.106 in Si bemolle maggiore, chiamata Grosse Sonate für das Hammerklavier, è monumentale sin dalla struttura: quattro tempi per una durata complessiva che tocca i tre quarti d’ora, chiusi da una gigantesca fuga a 4 voci che ancora oggi rappresenta l’incubo di molti virtuosi eccelsi. Lo stesso Beethoven, con maliziosa consapevolezza, la presentò al suo editore con le seguenti parole: «Ecco una Sonata che darà del filo da torcere ai pianisti per i prossimi cinquant’anni», a dir poco profetiche. Effettivamente, per molti anni dopo la morte di Beethoven questa Sonata rimase un libro chiuso coi sette sigilli per tutti i pianisti. Bisognerà aspettare la nascita del recital con Liszt e poi la verve accademica di un von Bülow per poter far finalmente entrare anche questa Sonata nel pantheon del repertorio pianistico d’autore.
Il pianista tedesco Wilhelm Backhaus è stato probabilmente il primo concertista nel senso moderno del termine. Si esibì in pubblico a nove anni d’età e non smise più sino a sette giorni prima di morire, quando fu colto da un lieve malore durante un concerto in Carinzia e dovette interrompere il brano (una Sonata di Beethoven, guarda caso) che chiudeva il programma, non prima però di aver concesso al pubblico tre piccoli bis (tra cui due pezzi di Schumann simbolicamente intitolati La sera Perché?). In Australia nel 1925 eseguì 175 differenti composizioni in 57 concerti pubblici; quattro anni prima a Buenos Aires si esibì diciassette volte in meno di tre settimane; addirittura, si faceva trasportare da una località all’altra dell’America Latina dai mitici aeroplani postali che sorvolavano il terribile Aconcagua. Fu anche un pioniere del disco: sue la prima registrazione di un concerto per pianoforte e orchestra (quello di Grieg, 1909) e degli studi di Chopin completi (1928). Nel secondo dopoguerra effettuò una rigorosa selezione del repertorio, eliminando alcuni pezzi virtuosistici (Liszt, Rachmaninov) e concentrandosi sui classici e romantici austro-tedeschi: centrale rimase sempre l’integrale delle Sonate e dei Concerti di Beethoven.

Undergrowth Spirit

lunedì 25 marzo 2013

Beethoven - Gli ascolti (link n°2 ) a cura di Giovanni




La Sonata op.110 fa parte del ciclo di ultime tre Sonate per pianoforte scritte da Beethoven quasi in contemporanea intorno al 1822. È in La bemolle maggiore, tonalità che ispirerà a Chopin meraviglie sonore di ogni genere, alcune delle quali probabilmente affondano le radici proprio in questa esperienza beethoveniana.
A differenza delle altre Sonate, non porta alcuna dedica. Il Romanticismo si affaccia anche qui, con la necessità di sfogliare parallelamente all’opera anche la biografia del compositore: Beethoven era appena uscito da un periodo di grave malattia che gli aveva fatto temere lungamente il peggio, senza dimenticare la battaglia legale (1816-20) per l’affidamento del nipote Karl, un giovanotto intelligente ma ribelle che, schiacciato dalla presenza invasiva dello zio (il quale aveva riversato su di lui tutte le ansie di un cinquantenne dimostratosi inadatto a formarsi una famiglia propria), tenterà il suicidio nel 1826 – tornando anzi a casa dopo averlo accompagnato al servizio di leva, a bordo del carro scoperto di un lattaio in piena tempesta, Beethoven contrarrà una grave polmonite dalla quale non si riprenderà più.
La mancata dedica risulta pertanto una simbolica dedica a sé stesso, unita a quella religiosità frugale, apparentemente lontana dall’assidua frequentazione di chiese e scadenze liturgiche ma spesso assai più genuina e sincera di quest’ultima, che ha spesso caratterizzato l’animo degli artisti (rimproverato per le scarse presenze in sinagoga, Chagall rispose un giorno: «Io prego mentre dipingo»). Da segnalarsi la duplice ripresa del terzo movimento, nel binomio Adagio – Fuga. L’interpretazione di Edwin Fischer, pianista svizzero che ha legato il suo nome soprattutto a Beethoven Schubert Mozart e Bach, datata 1938 è una delle migliori in assoluto, lineare e semplice, completamente priva di quegli orpelli formali che hanno invaso interpreti più recenti e totalmente anti-esibizionistica (aspetto che dovrebbe essere fondamentale per qualsiasi interpretazione beethoveniana).

Giovanni Piana

Riflessi

venerdì 22 marzo 2013

Forme di luce

Pomeriggio al mare


Sulle spalle il respiro dei capelli:
nulla di me riposa, come il mare.
Vengono e vanno i miei pensieri infranti
mentre in me stessa nascondo l'altra riva:
l'anima è sponda a questo corpo d'acqua.

Riyueren


Un pomeriggio al mare


Tutto è forma. Tutto contiene, anche se a stento, perché a volte ci sono contenitori non adatti.


Pomeriggio al mare


I nomi delle cose... sono altrettante forme. I segni su questo foglio (elettronico, ma sempre e comunque "foglio")... ancora forme.

I gesti, le parole... tutte forme... sì, anche i suoni, forme estreme dell'invisibile che a sua volta ci contiene.


Pomeriggio al mare


Le forme non dovrebbero essere gabbie... a volte invece lo sono.

Non dovrebbero essere bare, ma ricettacoli di Bellezza... a volte sono più quelle che questi. Eppure la forma non è mai una fine... anzi, è un inizio, una nascita.

La forma dovrebbe essere luce o dovrebbe avere la luce al proprio interno.


Pomeriggio al mare


Solo la luce è in grado di mostrare la bellezza dell'ombra.


Un pomeriggio al mare

Dovremmo decidere se essere o no forme di luce.


Un pomeriggio al mare

domenica 17 marzo 2013

Beethoven: gli ascolti (link n°1) a cura di Giovanni


Ho chiesto a Giovanni di proporvi dei link di ascolti musicali a completamento del post che aveva scritto sulla figura di Beethoven, con qualche suo pensiero in aggiunta...sia sulla musica, sia sugli interpreti.

Penso di pubblicarne uno a settimana. Questo è il primo.




"La nostra piccola rassegna su Beethoven si apre con la fine. La Sinfonia n.9 op.125 vide la luce dopo un travaglio di alcuni anni nel 1824. Il compositore era ormai completamente sordo da circa un decennio. Quest’opera rappresenta un monumento nella storia della sinfonia, della composizione orchestrale in generale e della scrittura vocale; poiché, per la prima volta nella storia della musica, una sinfonia (abitualmente composizione per sola orchestra, più o meno ampia) vede l’introduzione di coro e voci soliste, cosa fino ad allora riservata al repertorio sacro, operistico o popolare.
Sulla capacità di scrittura vocale di Beethoven si è a lungo discusso e si discute tuttora. Malgrado tutti ne ammettano la grandezza, i cantanti (in special modo quelli della scuola italiana) non amano metterlo nel loro repertorio di studio e men che meno in quello concertistico. Il nodo principale del problema è naturalmente quello della sordità, che avrebbe impedito a Beethoven una corretta comprensione della disciplina in questione; alcuni affondano il dito nella piaga, aggiungendo anche la non disinvolta confidenza del compositore con la lingua italiana (i suoi spartiti abbondano di errori grammaticali: Attacca subito il Allegro, Allegro molto più tosto Presto, Ciò è), malgrado alcune lezioni con Salieri intorno all’anno 1800 lo avessero messo in contatto col nostro idioma e la nostra scrittura vocale, mai troppo amata dai tedeschi sin dai tempi di Mozart.

Morning sky


La Sinfonia n.9 è formata da quattro movimenti, l’ultimo dei quali diviso in due parti nette. La scelta di questa registrazione storica, effettuata dal vivo a Berlino nel marzo 1942 ad opera dei Berliner Philharmoniker e del Bruno Kittel Chor (solisti Tilla Briem, Elisabeth Höngen, Peter Anders, Rudolf Watzke) diretti da Wilhelm Furtwängler – da non confondersi con quella dell’aprile 1942, tristemente nota perché concomitante col compleanno di Hitler -, non è affatto casuale: come avevo già avuto modo di spiegare nel precedente post, molte esecuzioni più moderne della Sinfonia (a cominciare dai grandi nomi) tendono a sorvolare con benintenzionata premura i primi tre movimenti, per poi soffermarsi lungamente sul finale e sul celebre “Inno alla Gioia”. Questa versione di Furtwängler (ne seguiranno molte altre nei dieci anni successivi, ma rimane paradigmatica) è una delle poche, almeno ad opera di grandi nomi, a mostrare interamente la monumentalità dell’intera composizione; a partire dal primo movimento, con gli choccanti interventi quasi solistici dei timpani (che poi saranno confermati nello Scherzo), oscillazioni di tempo strabilianti e pur plastiche ormai del tutto inaccessibili per i direttori (e le orchestre) moderni. Nel terzo movimento, l’intera orchestra si scioglie in un lungo episodio arioso, cantabile e sostenuto, in cui si fondono emozioni di esecutori e spettatori. 


Morning sky


Il quarto movimento è celeberrimo appunto per l’inno alla gioia, ma la sua particolarità tutta romantica risiede nella prima parte in cui l’orchestra, dopo una breve introduzione ostinata, riprende i temi caratteristici di ciascuno dei tre movimenti precedenti; sino a che un lungo fugato degli archi anticipa il tema del succitato inno, che culmina nell’inciso del basso (O Freunde, nicht diese Tone), poi ripreso dagli altri soli e dal coro in uno schema serrato di variazioni ed oscillazioni ritmico-melodiche che portano al finale. 

Wild Grace


Una piccola nota: il finale dovrebbe essere esplosivo, ma Furtwängler nelle sue registrazioni in tempo di guerra (specie in quella d’aprile alla presenza del Führer) si tiene molto misurato, poiché affermava che i tempi correnti non permettevano certo una esplosione di gioia. Sia detto e sottoscritto a dispetto di quanti sedicenti storici (probabilmente ritenuti e promossi tali esclusivamente nei loro paesi d’origine) continuano ancor’oggi a sostenere che Furtwängler fosse un nazista."

Giovanni Piana


Sunset light

martedì 12 marzo 2013

Nella pioggia cammino


Secret Garden

Sopra di me, orma preziosa in passi d'acqua,
si abbandona la pioggia ed io cammino.
Vado all'odore dell'erba e delle foglie,
vado alla danza di radici e rami,
e ciò che è muto, in me, non è tristezza:
vengo ai nomi del cuore, torno a casa.

Riyueren


Sunset light


Fiori e pioggia

giovedì 7 marzo 2013

Piume del Sogno

Buddha delle Piume


Abito mondi estranei, strane terre.
Vivono in me da prima che io fossi.
Da qui i miei occhi palpitano in volo.
Il cuore è sguardo e vede nel silenzio.

Riyueren


Feathers

martedì 5 marzo 2013

Beethoven (post scritto da mio figlio Giovanni)

Wild Grace


Come potete vedere, ho apportato alcuni cambiamenti al blog. L'anima di Cruna di Stella non è cambiata, solo il modo di visualizzarla. Sulla tendina a sinistra, grazie alle visualizzazioni dinamiche, ogni visitatore potrà scegliere come far apparire il blog ai suoi occhi.

Come primo post della "nuova veste" di Cruna ho deciso di pubblicare un articolo di mio figlio, Giovanni Piana (sì, è davvero omonimo del grande filosofo italiano, sperando di non generare confusione, visto che entrambi si occupano di musica).

E sperando anche che Giovi si decida ad aprire un blog tutto suo dove poter parlare di musica e non solo.

Dopo il nostro viaggio a Vienna del maggio scorso avevo chiesto a Giovi di scrivere qualcosa sul suo musicista preferito, Beethoven, dal momento che eravamo stati a visitare la sua tomba al Zentral Friedhof.

Mio figlio mi perdonerà se lo pubblico solo ora.
E voi mi perdonerete se, al contrario di sua madre, Giovi scrive parecchio.


Vienna : Zentral Friedhof - Grab von Beethoven


Per un musicista, poter parlare di Ludwig Van Beethoven rappresenta sempre un’esperienza totalizzante: come per un attore teatrale parlare di Shakespeare, per uno studioso di letteratura italiana parlare di Dante, per un militare parlare di Napoleone, per un filosofo parlare di Platone. Poiché Beethoven ha rappresentato una delle vette più elevate ed uniche nell’arte della musica.

Certamente si potrà obiettare che, come Giulio Cesare poteva competere con Napoleone e Manzoni con Dante, anche Mozart o Bach possono “competere” (che brutta espressione!) con Beethoven.

Tracciamo subito un solco. Non c’è alcuna competizione né ci deve essere tra genî. Gli artisti sono particolarmente avvantaggiati in questo poiché non si occupano di una scienza perfetta, ma di una materia sempre plasmabile, sempre in divenire e (in special modo i musicisti) sempre trattata in tempo reale o quasi, poiché la musica impressa sulla carta rivive ogni volta che viene interpretata negli anni a venire, cosa che distingue la musica da tutte le altre arti.

Eppure, proprio nella musica capita di assistere a spiacevoli episodi: camarille, partiti presi, scambi di opinione tra colleghi che diventano dispute, tra “modernisti” e “antichisti”, tra “barocchisti” e “romantici”, o avvicinandoci ai nostri tempi, “classicisti” e “jazzisti”. 

Classificazioni ed etichettature inutili che non dicono assolutamente nulla dell’arte, né tantomeno tengono conto del fatto che se è esistito un Beethoven lo dobbiamo anche al canto gregoriano, se è esistito un Gershwin lo dobbiamo anche a Beethoven, se esiste Bruce Springsteen lo dobbiamo anche a Gershwin.

Vienna : Zentral Friedhof


Torniamo a Beethoven. La sua vita straripa di quei luoghi comuni tipici degli artisti: il padre, musicista semi-alcolizzato che voleva rifarsi del proprio fallimento con i successi del figlio, al quale tolse due anni di vita nelle documentazioni ufficiali (probabilmente Beethoven non se ne rese conto sino alla morte), cercando di farlo esibire in lungo e in largo come già aveva fatto Leopold Mozart col figlio Wolfgang, non riuscendovi poiché il talento di Ludwig era di una pasta diversa; la madre, dolce e gentile ma facile alla depressione, morta quando lui era un adolescente; i due fratelli, affettuosi ma inevitabilmente mediocri nel dover dividere il palcoscenico della storia con l’ingombrante Ludwig; l’ambiente ristretto della natia Bonn e le difficoltà del trasferimento a Vienna, l’orgogliosa capitale dell’impero; l’iniziale scetticismo del vecchio Haydn; la terribile scoperta della sordità, con annesse tutte le difficoltà materiali ed umane; la mancata costruzione di una propria famiglia (nessuno sa ancora oggi chi fosse la “immortale amatissima” cui spedì la celebre lettera), neppure adottando un giovane nipote scapestrato che anzi, schiacciato dall’invasiva presenza dello zio, tenterà il suicidio; il vivere di rendita, dipendendo da questa o da quella corte almeno fino ai quarant’anni d’età.

Insomma, «la solita storia dei grandi, su cui piace ai posteri spargere eloquenza, salvo poi trattare anch’essi i contemporanei nell’antichissimo modo» (così un altro grande e sfortunato, Cesare Pavese).


Vienna : Zentral Friedhof - Grab von Beethoven


La vita di Beethoven è poco altro, anagraficamente e storicamente. Il suo peso musicale può essere tecnicamente trattato parlando delle innovazioni da egli apportate alla materia musicale dei suoi anni.

Dal catalogo emerge una netta predilezione per la musica sinfonica e la musica da camera, con particolare attenzione al pianoforte (e relativi ensemble) e al quartetto d’archi. 

Decisamente più scarno il catalogo teatrale e vocale: una sola opera lirica (il Fidelio, più volte rimaneggiato nel corso degli anni), un oratorio (il sottovalutato Cristo sul colle degli ulivi), due messe (l’obliata op.86 e la celebre Missa solemnis), una produzione liederistica non trascurabile (ma di fatto, almeno in Italia, trascuratissima), alcune musiche di scena (Prometeo), oltre naturalmente all’impiego di coro e voci soliste nel finale della Nona Sinfonia.

Già da questo breve elenco della parte meno popolare del corpus beethoveniano, emerge tuttavia un tratto saliente: l’individualismo, il lottare con tutte le proprie forze contro le avversità del destino, sempre superiore e crudele. I personaggi scelti (Prometeo che sfida l’ira divina rubando il fuoco dall’Olimpo; Cristo che si reca sul colle in cerca di solitudine, ben consapevole della Passione che l’attende; la stessa protagonista del Fidelio, Leonora, che si traveste da uomo per salvare il suo amato imprigionato dal crudele governatore) non lasciano il minimo dubbio. Né fa alcuna differenza il fatto che provengano dalla storia provata o dal mito, o siano inventati di sana pianta: tutto si annulla in nome dell’azione presente e delle speranze future.

Questo individualismo apre la strada al secolo Decimo Nono, secolo del Romanticismo e della virtù del singolo, spazzando via l’Illuminismo e i suoi “cittadini del mondo”. Non deve sorprendere che Beethoven provi simpatia o quantomeno sia stato contagiato da queste sensazioni. Egli le respirò fin dalla gioventù, poiché aveva diciannove anni al momento della presa della Bastiglia, poco più di trenta nel periodo del massimo fulgore napoleonico e quarantaquattro al tempo del Congresso di Vienna; e quando morì, i primi moti rivoluzionari erano già scoppiati da almeno sei anni. Non è un caso che il suo segretario Schindler abbia bruciato circa i due terzi dei Quaderni di conversazione (tramite i quali Beethoven conversava con gli amici, a causa della sordità), poiché contenevano a suo dire giudizi troppo espliciti sul potere costituito.


Vienna : Zentral Friedhof


Dove batte il cuore dell’arte beethoveniana è nelle Sinfonie, nelle Sonate per pianoforte e nel Quartetto d’archi. Non mancano affatto però le “emanazioni”: ad esempio i Trii con pianoforte, Sonate per violino o violoncello e pianoforte, oltre alla scrittura degli strumenti d’orchestra e alla struttura stessa delle forme musicali in questione.

La Sinfonia, ad esempio: essa ha origine (quantomeno nella sua forma più attuale) a Mannheim, città tedesca nella quale operarono vari compositori a cavallo delle due metà del Settecento (fra questi anche Mozart), che vantava una delle orchestre più ricche del tempo. Solitamente, dei quattro movimenti che formano la Sinfonia, il primo è quello meglio curato dai compositori; gli altri filano via con maggiore genericità (il tempo lento come secondo, in terza posizione un minuetto, infine un allegro agitato che chiude il tutto). Con Beethoven invece la Sinfonia viene concepita come un ciclo più unitario, spianando la strada al Poema Sinfonico. In alcuni casi (terzo e quarto movimento della Quinta Sinfonia) non c’è interruzione, un movimento segue l’altro. Per non parlare della Sesta Sinfonia, soprannominata Pastorale, in cui ogni movimento rappresenta un quadretto di vita campestre (Sentimenti piacevoli evocati dall’arrivo in campagna, Scena presso un ruscello, Allegra danza di contadini, Temporale, Il rendimento di grazie); a spiegarla è sufficiente la scritta messa in calce alla prima pagina della partitura: «Più espressione di sentimenti che rappresentazione pittorica». Questo processo trova naturalmente il proprio culmine nella Nona Sinfonia, dove una monumentale massa orchestrale unita a coro e quattro voci soliste porta nettamente la secolare esperienza dei “lumi” verso l’800. Non va sottaciuto che pochissime interpretazioni rendono al meglio l’unitarietà di questa Sinfonia, dalla prima all’ultima nota: spesso viene prediletto il finale, con l’Inno alla gioia, a dispetto degli altri tre movimenti (tra cui un meraviglioso Adagio in cui si fondono emozioni di orchestra che esegue e pubblico che ascolta). Per una visione totale di questo monumento della musica, bisogna rivolgersi a Wilhelm Furtwängler.

Vienna : Zentral Friedhof


Non meno acuto il processo di evoluzione imposto da Beethoven al pianoforte. Muzio Clementi aveva già scritto alcuni trattati, parlando delle nuove note conquistate dallo strumento e da un possibile utilizzo del polso anziché del solo braccio. Ma siamo pur sempre in ambito di “scuola”. Con Beethoven irrompe invece l’arte pura. Il pianoforte diventa un’orchestra in miniatura, o quantomeno un ensemble d’archi; il vecchio “basso albertino” imperante nello stile Galante (non indimenticabile branca del Classicismo), viene gettato alle ortiche. La forma-sonata, analoga alla Sinfonia (talvolta con abolizione del minuetto), subisce radicali mutamenti. La Sonata op.26 si apre con un “Tema e Variazioni”. La successiva, op.27 n.1 soprannominata “Quasi una Fantasia”, non ha praticamente una divisione canonica in movimenti, ma è piuttosto un flusso unitario dalla prima all’ultima nota. Da qui si arriva alle ultime Sonate, in particolare la monumentale op.106, della quale maliziosamente lo stesso Beethoven scrisse: «Ecco una Sonata che darà un gran bel filo da torcere ai pianisti per i prossimi cinquant’anni». In realtà il filo da torcere continua ancora dopo due secoli, novello nodo di Gordio per il quale non si è ancora trovato un Alessandro Magno. Le ultime tre Sonate di Beethoven, opp.109 110 e 111, rappresentano un corpus unico: composte tra il 1820 e il 1822, racchiudono in realtà dentro di sé l’intero secolo e forse anche qualcosa del ‘900, nelle loro armonie interrogative e fumose (l’op.109), nell’eterno dipanarsi fra mille rivoli di una stessa cellula musicale (l’arietta dell’op.111).

A questo punto i più scettici potranno domandarsi: ma Beethoven serviva la musica o se ne serviva? Entrambe le cose, compenetrate. Come in un rapporto di amicizia o di amore, come su una barca dove si mischiano la corrente e la forza dei rematori verso un unico obiettivo.

Come Beethoven sia arrivato, nonostante la provenienza culturale dal secolo dei lumi (sia pure un tantino periferica: il “Van” che ne precede il cognome denuncia origini fiamminghe), a rivoluzionare il linguaggio musicale del suo tempo, è di più complessa comprensione. Sicuramente deve aver influito in questo procedimento l’aver vissuto in un’epoca così storicamente inquieta, schiacciata tra la Rivoluzione Francese, l’astro napoleonico e il Congresso di Vienna (che avrebbe dovuto disegnare un secolo di stabilità e invece preparerà un secolo di moti e piccole o grandi rivoluzioni). Per la sensibilità di un musicista questi sono tutti segnali chiarissimi e a cui dedicare la massima attenzione. Ma l’elemento scatenante deve esser stata sicuramente la sordità: l’aver perso il legame più immediato e diretto con la propria arte musicale ha scatenato la fantasia dell’uomo. Come i non-vedenti, che si dice sviluppino un magnifico udito; come quei registi che devastano la psiche degli attori, attraverso prove estenuanti o attese infinite, prima di gettarli nel calderone del palcoscenico, annientandone la personalità per farli meglio aderire al personaggio.


Vienna : Zentral Friedhof - Grab von Beethoven


Dalla musica di Beethoven emergono i tratti salienti dell’uomo, ancorché del musicista. Ascoltate la Sonata per pianoforte op.110 (non a caso priva di dedica, quindi intitolata simbolicamente a sé stesso), sentirete un uomo appena uscito da una grave malattia che rischiava di prostrarlo e che rende grazie ad una superiorità divina. Sul rapporto tra Beethoven e la religione è necessario spendere qualche parola. Come molti altri musicisti, egli non era un abitudinario di liturgie e cerimonie, ma il suo rapporto con Dio scaturiva direttamente dalla professione. In compenso era alquanto moralista, difatti non amava il Don Giovanni mozartiano e la citata stretta sorveglianza sul nipote derivava dal timore che questi frequentasse prostitute.

Ascoltate il finale in maggiore della Quinta Sinfonia, è il trionfo della volontà e della personalità, dopo i terribili rintocchi del destino che avevano inaugurato il primo movimento.

Ascoltate l’adagio della Sonata per pianoforte op.106, sentirete tutta la drammaticità e la solitudine dei momenti più tristi della vita di Beethoven.

Un grande pianista e grandissimo interprete beethoveniano, lo svizzero Edwin Fischer, lamentò un giorno: «Oggi siamo diventati troppo raffinati e troppo colti. Per ogni pagina di musica di Beethoven abbiamo tre pagine di spiegazioni. Sappiamo tutto … ma non sappiamo quali soli lo illuminavano, quali grida gli spezzavano il cuore». Qualcuno l’ha considerato un invito al dilettantismo, invece è un monito solenne: la cultura non è un museo delle cere da spolverare pochi minuti prima della visita pubblica, ma un giardino da coltivare e curare di giorno in giorno. Con fiducia e rispetto. Ciò che Beethoven non ebbe mai da Vienna e dai viennesi, tranne che ovviamente al momento della morte.

Giovanni Piana


Undergrowth Spirit

domenica 3 marzo 2013

Il sonno delle parole

Venezia Carnevale 2013


Si sono addormentate, le parole:
è stato un incantesimo del Tempo.
Sulle mie labbra crescono i silenzi
e come rovi sgretolano i suoni.
Dalle macerie nascerà una fiaba
così come dal sonno viene il sogno.
Sarà un racconto di memorie mute:
lo ascolterai nascosto nei miei occhi.

Riyueren


Undergrowth Spirit

venerdì 1 marzo 2013

Andare...

Morning sky


Quell'andare per strada,
quel seguire un cammino...
è tornare a se stessi.

Anche ferma, io viaggio.
La finestra mi basta.

Mi allontano nel cielo, ritorno,
a volte ho vuote le mani
altre volte... le ho pesanti di sogni
ma sempre mi muovo leggera
dopo aver condiviso le ali.

Io ancora non so
dove vanno le cose
quando il Tempo volta lo sguardo
e me le toglie dagli occhi.

Certo vanno nel cuore del cuore, in silenzio
ma non vedo le orme, i respiri.

Mi diventano troppo vicine...
così dentro... Ne perdo il ricordo.

Sono io, queste cose scomparse,
ed ognuna è sottile frattura,
è risposta di luce
sul mio corpo di ombre e domande.

Riyueren



The first flower