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sabato 9 gennaio 2016

Per Giovanni

Giovanni

Ora la tua camera è in ordine
E la mia anima sparpagliata ovunque.
Ho lavato le tue lenzuola con il detersivo,
la mia faccia con le lacrime.
Ai piedi del tuo letto hai lasciato le ciabatte,
io il cuore.
È tuo il tempo del migrare, tuo il volo
A me restano i vetri dei miei occhi
finestre di pioggia salata
che apro sul tuo andare
per salutarti col sorriso.


Riyueren

Giovanni è ripartito per Freiburg stamattina. Vederlo andare via mi fa venire in mente Mir.


Giovanni

domenica 21 luglio 2013

Lascia...


Going through


Lascia che sia la strada, a seguirti.
Lasciala alle sue curve, ai suoi miraggi di polvere,
... al suo destino di strada.

Lascia al vento i crocevia della nebbia.
Lasciati alle spalle le ombre: sia respiro il tuo passo,
tieni aperti il cuore e le mani, e generoso lo sguardo.

Lascia che sia la strada, a venirti dietro a fatica:
Tu precedila sempre nei sogni.


Riyueren


Noten

sabato 1 giugno 2013

Beethoven - Gli ascolti: link n°8 (Sonata violino/piano op.96, Schneiderhan - Sonata cello/piano op.5/1, Rostropovich-Richter) a cura di Giovanni


Nel vento


Personalmente, ho sempre considerato il duo (strumento/voce e pianoforte) come una sorta di “solismo alternativo o alternato”, piuttosto che musica da camera – etichetta che riservo con assai maggiore convinzione ai brani per tre o più strumenti.

Beethoven si distinse nel genere componendo ben dieci Sonate per violino e pianoforte, più cinque per violoncello e pianoforte (esiste anche una Sonata per corno e pianoforte, rivendicata con scarso successo dai violoncellisti), oltre a vari brani di minore importanza e fortuna (una Serenata per flauto e pianoforte).


La Sonata op.96 rappresenta ancora una volta uno di quei momenti altissimi nella carriera del compositore, in cui la strada del genere è nettamente spianata ad uso dei successori. L’amalgama richiesto a violino e pianoforte è pressoché totale in ciascuno dei quattro movimenti, forse addirittura superiore a quello delle Sonate romantiche doc di Brahms, Franck e Faurè come osservato da molti addetti ai lavori. Entrambe le parti strumentali sono trattate al meglio, con lunghi e lirici fraseggi. L’esecuzione è affidata al violinista Wolfgang Schneiderhan, esperto del repertorio austro-tedesco; con lui, il pianista Carl Seeman.




L’op.96 è la decima ed ultima Sonata per violino. Le cinque Sonate per violoncello rappresentano meglio l’estro beethoveniano fra le varie fasi della carriera, poiché abbracciano un periodo che va dal 1796 al 1815; delle dieci Sonate per violino, invece, le prime nove sono state composte in appena un lustro (1798-1803), mentre solo la decima risale al 1812. L’anno peraltro della famosa lettera all’immortale amatissima, l’identità della quale non è ancora stata svelata dalla storiografia e difficilmente lo sarà.

Avendo fin qui proposto prevalentemente brani della maturità o del tardo Beethoven, abbiamo preferito puntare su uno dei brani giovanili. La Sonata per violoncello e pianoforte op.5 n.1 in Fa maggiore è la prima del ciclo. In essa sono ancora presenti influenze di Mozart e forse ancor più di Haydn (che fu per qualche tempo maestro di Beethoven), ma nel secondo movimento alcune articolazioni e alcuni improvvisi effetti di colore (inteso musicalmente: piano, forte, mezzoforte ecc.) svelano l’inquietudine ed il senso di recherche del giovane tedesco. Interpreti sono due sovietici: il violoncellista Mstislav Rostropovich ed il pianista Sviatoslav Richter.

Giovanni Piana


domenica 28 aprile 2013

Beethoven - Gli ascolti ( link n° 6 - Cristo sul colle degli ulivi - Missa Solemnis ) a cura di Giovanni




Torniamo alla produzione vocale di Beethoven. Il Christus am Olberge (Cristo sul Colle degli ulivi) è basato sull’episodio evangelico che precede l’arresto e la crocifissione di Gesù. La stesura dell’oratorio avvenne nel 1803, ma fu pubblicato soltanto otto anni più tardi. 

Ottenne un buon successo, ma oggi viene rappresentato raramente a causa delle forti influenze mozartiane, che lo fanno considerare una delle produzioni più convenzionali di Beethoven. 

Ciò nondimeno, rappresenta l’unico cimento di rilievo nella sua produzione sacra sino alla Missa solemnis.


Quest’ultima viene composta invece quasi parallelamente alla Nona Sinfonia, condividendone la geniale inventiva musicale e l’intreccio tra orchestra, coro e voci soliste. L’esecuzione che vi propongo è affidata ad un mostro sacro come Leonard Bernstein, sul podio del Concertgebouw di Amsterdam.

Giovanni Piana







domenica 14 aprile 2013

Beethoven - Gli ascolti (link n°5:Trio dello Spettro op.70 n.1 e link n°6:Quartetto op.132 ) a cura di Giovanni



The House



La musica da camera rappresenta uno dei pilastri dell’arte del cigno di Bonn. Al suo interno, meritano una particolare attenzione i Trii per violino, violoncello e pianoforte, e i Quartetti d’archi.
Il Trio proposto fa parte del cosiddetto periodo di mezzo, ed è soprannominato Trio dello Spettro (non “degli Spettri”, come ignominiosamente viene tradotto da molti discografici ed editori) per le atmosfere di suspense e “thrilling”, volendo usare un termine commerciale. Particolarmente evidente negli infiniti tremoli del secondo movimento. L’esecuzione è affidata a tre interpreti d’eccezione: l’anziano violinista Isaac Stern ed i più giovani Yo Yo Ma ed Emanuel Ax. Il tutto è impreziosito dalla voce narrante fuori-campo del celebre attore Gregory Peck.







The House


Il Quartetto d’archi op.132 appartiene all’ultimissimo periodo della produzione di Beethoven, a pochi mesi dalla morte. La mia scarsa competenza, triste a dirsi, di questo ramo della musica da camera priva del pianoforte mi spinge esclusivamente ad invitare l’ascoltatore ad immergersi in questo magma sonoro che ha pochi eguali nella storia della musica, affidato allo straordinario Borodin Quartet.


Giovanni Piana 




domenica 17 marzo 2013

Beethoven: gli ascolti (link n°1) a cura di Giovanni


Ho chiesto a Giovanni di proporvi dei link di ascolti musicali a completamento del post che aveva scritto sulla figura di Beethoven, con qualche suo pensiero in aggiunta...sia sulla musica, sia sugli interpreti.

Penso di pubblicarne uno a settimana. Questo è il primo.




"La nostra piccola rassegna su Beethoven si apre con la fine. La Sinfonia n.9 op.125 vide la luce dopo un travaglio di alcuni anni nel 1824. Il compositore era ormai completamente sordo da circa un decennio. Quest’opera rappresenta un monumento nella storia della sinfonia, della composizione orchestrale in generale e della scrittura vocale; poiché, per la prima volta nella storia della musica, una sinfonia (abitualmente composizione per sola orchestra, più o meno ampia) vede l’introduzione di coro e voci soliste, cosa fino ad allora riservata al repertorio sacro, operistico o popolare.
Sulla capacità di scrittura vocale di Beethoven si è a lungo discusso e si discute tuttora. Malgrado tutti ne ammettano la grandezza, i cantanti (in special modo quelli della scuola italiana) non amano metterlo nel loro repertorio di studio e men che meno in quello concertistico. Il nodo principale del problema è naturalmente quello della sordità, che avrebbe impedito a Beethoven una corretta comprensione della disciplina in questione; alcuni affondano il dito nella piaga, aggiungendo anche la non disinvolta confidenza del compositore con la lingua italiana (i suoi spartiti abbondano di errori grammaticali: Attacca subito il Allegro, Allegro molto più tosto Presto, Ciò è), malgrado alcune lezioni con Salieri intorno all’anno 1800 lo avessero messo in contatto col nostro idioma e la nostra scrittura vocale, mai troppo amata dai tedeschi sin dai tempi di Mozart.

Morning sky


La Sinfonia n.9 è formata da quattro movimenti, l’ultimo dei quali diviso in due parti nette. La scelta di questa registrazione storica, effettuata dal vivo a Berlino nel marzo 1942 ad opera dei Berliner Philharmoniker e del Bruno Kittel Chor (solisti Tilla Briem, Elisabeth Höngen, Peter Anders, Rudolf Watzke) diretti da Wilhelm Furtwängler – da non confondersi con quella dell’aprile 1942, tristemente nota perché concomitante col compleanno di Hitler -, non è affatto casuale: come avevo già avuto modo di spiegare nel precedente post, molte esecuzioni più moderne della Sinfonia (a cominciare dai grandi nomi) tendono a sorvolare con benintenzionata premura i primi tre movimenti, per poi soffermarsi lungamente sul finale e sul celebre “Inno alla Gioia”. Questa versione di Furtwängler (ne seguiranno molte altre nei dieci anni successivi, ma rimane paradigmatica) è una delle poche, almeno ad opera di grandi nomi, a mostrare interamente la monumentalità dell’intera composizione; a partire dal primo movimento, con gli choccanti interventi quasi solistici dei timpani (che poi saranno confermati nello Scherzo), oscillazioni di tempo strabilianti e pur plastiche ormai del tutto inaccessibili per i direttori (e le orchestre) moderni. Nel terzo movimento, l’intera orchestra si scioglie in un lungo episodio arioso, cantabile e sostenuto, in cui si fondono emozioni di esecutori e spettatori. 


Morning sky


Il quarto movimento è celeberrimo appunto per l’inno alla gioia, ma la sua particolarità tutta romantica risiede nella prima parte in cui l’orchestra, dopo una breve introduzione ostinata, riprende i temi caratteristici di ciascuno dei tre movimenti precedenti; sino a che un lungo fugato degli archi anticipa il tema del succitato inno, che culmina nell’inciso del basso (O Freunde, nicht diese Tone), poi ripreso dagli altri soli e dal coro in uno schema serrato di variazioni ed oscillazioni ritmico-melodiche che portano al finale. 

Wild Grace


Una piccola nota: il finale dovrebbe essere esplosivo, ma Furtwängler nelle sue registrazioni in tempo di guerra (specie in quella d’aprile alla presenza del Führer) si tiene molto misurato, poiché affermava che i tempi correnti non permettevano certo una esplosione di gioia. Sia detto e sottoscritto a dispetto di quanti sedicenti storici (probabilmente ritenuti e promossi tali esclusivamente nei loro paesi d’origine) continuano ancor’oggi a sostenere che Furtwängler fosse un nazista."

Giovanni Piana


Sunset light

martedì 5 marzo 2013

Beethoven (post scritto da mio figlio Giovanni)

Wild Grace


Come potete vedere, ho apportato alcuni cambiamenti al blog. L'anima di Cruna di Stella non è cambiata, solo il modo di visualizzarla. Sulla tendina a sinistra, grazie alle visualizzazioni dinamiche, ogni visitatore potrà scegliere come far apparire il blog ai suoi occhi.

Come primo post della "nuova veste" di Cruna ho deciso di pubblicare un articolo di mio figlio, Giovanni Piana (sì, è davvero omonimo del grande filosofo italiano, sperando di non generare confusione, visto che entrambi si occupano di musica).

E sperando anche che Giovi si decida ad aprire un blog tutto suo dove poter parlare di musica e non solo.

Dopo il nostro viaggio a Vienna del maggio scorso avevo chiesto a Giovi di scrivere qualcosa sul suo musicista preferito, Beethoven, dal momento che eravamo stati a visitare la sua tomba al Zentral Friedhof.

Mio figlio mi perdonerà se lo pubblico solo ora.
E voi mi perdonerete se, al contrario di sua madre, Giovi scrive parecchio.


Vienna : Zentral Friedhof - Grab von Beethoven


Per un musicista, poter parlare di Ludwig Van Beethoven rappresenta sempre un’esperienza totalizzante: come per un attore teatrale parlare di Shakespeare, per uno studioso di letteratura italiana parlare di Dante, per un militare parlare di Napoleone, per un filosofo parlare di Platone. Poiché Beethoven ha rappresentato una delle vette più elevate ed uniche nell’arte della musica.

Certamente si potrà obiettare che, come Giulio Cesare poteva competere con Napoleone e Manzoni con Dante, anche Mozart o Bach possono “competere” (che brutta espressione!) con Beethoven.

Tracciamo subito un solco. Non c’è alcuna competizione né ci deve essere tra genî. Gli artisti sono particolarmente avvantaggiati in questo poiché non si occupano di una scienza perfetta, ma di una materia sempre plasmabile, sempre in divenire e (in special modo i musicisti) sempre trattata in tempo reale o quasi, poiché la musica impressa sulla carta rivive ogni volta che viene interpretata negli anni a venire, cosa che distingue la musica da tutte le altre arti.

Eppure, proprio nella musica capita di assistere a spiacevoli episodi: camarille, partiti presi, scambi di opinione tra colleghi che diventano dispute, tra “modernisti” e “antichisti”, tra “barocchisti” e “romantici”, o avvicinandoci ai nostri tempi, “classicisti” e “jazzisti”. 

Classificazioni ed etichettature inutili che non dicono assolutamente nulla dell’arte, né tantomeno tengono conto del fatto che se è esistito un Beethoven lo dobbiamo anche al canto gregoriano, se è esistito un Gershwin lo dobbiamo anche a Beethoven, se esiste Bruce Springsteen lo dobbiamo anche a Gershwin.

Vienna : Zentral Friedhof


Torniamo a Beethoven. La sua vita straripa di quei luoghi comuni tipici degli artisti: il padre, musicista semi-alcolizzato che voleva rifarsi del proprio fallimento con i successi del figlio, al quale tolse due anni di vita nelle documentazioni ufficiali (probabilmente Beethoven non se ne rese conto sino alla morte), cercando di farlo esibire in lungo e in largo come già aveva fatto Leopold Mozart col figlio Wolfgang, non riuscendovi poiché il talento di Ludwig era di una pasta diversa; la madre, dolce e gentile ma facile alla depressione, morta quando lui era un adolescente; i due fratelli, affettuosi ma inevitabilmente mediocri nel dover dividere il palcoscenico della storia con l’ingombrante Ludwig; l’ambiente ristretto della natia Bonn e le difficoltà del trasferimento a Vienna, l’orgogliosa capitale dell’impero; l’iniziale scetticismo del vecchio Haydn; la terribile scoperta della sordità, con annesse tutte le difficoltà materiali ed umane; la mancata costruzione di una propria famiglia (nessuno sa ancora oggi chi fosse la “immortale amatissima” cui spedì la celebre lettera), neppure adottando un giovane nipote scapestrato che anzi, schiacciato dall’invasiva presenza dello zio, tenterà il suicidio; il vivere di rendita, dipendendo da questa o da quella corte almeno fino ai quarant’anni d’età.

Insomma, «la solita storia dei grandi, su cui piace ai posteri spargere eloquenza, salvo poi trattare anch’essi i contemporanei nell’antichissimo modo» (così un altro grande e sfortunato, Cesare Pavese).


Vienna : Zentral Friedhof - Grab von Beethoven


La vita di Beethoven è poco altro, anagraficamente e storicamente. Il suo peso musicale può essere tecnicamente trattato parlando delle innovazioni da egli apportate alla materia musicale dei suoi anni.

Dal catalogo emerge una netta predilezione per la musica sinfonica e la musica da camera, con particolare attenzione al pianoforte (e relativi ensemble) e al quartetto d’archi. 

Decisamente più scarno il catalogo teatrale e vocale: una sola opera lirica (il Fidelio, più volte rimaneggiato nel corso degli anni), un oratorio (il sottovalutato Cristo sul colle degli ulivi), due messe (l’obliata op.86 e la celebre Missa solemnis), una produzione liederistica non trascurabile (ma di fatto, almeno in Italia, trascuratissima), alcune musiche di scena (Prometeo), oltre naturalmente all’impiego di coro e voci soliste nel finale della Nona Sinfonia.

Già da questo breve elenco della parte meno popolare del corpus beethoveniano, emerge tuttavia un tratto saliente: l’individualismo, il lottare con tutte le proprie forze contro le avversità del destino, sempre superiore e crudele. I personaggi scelti (Prometeo che sfida l’ira divina rubando il fuoco dall’Olimpo; Cristo che si reca sul colle in cerca di solitudine, ben consapevole della Passione che l’attende; la stessa protagonista del Fidelio, Leonora, che si traveste da uomo per salvare il suo amato imprigionato dal crudele governatore) non lasciano il minimo dubbio. Né fa alcuna differenza il fatto che provengano dalla storia provata o dal mito, o siano inventati di sana pianta: tutto si annulla in nome dell’azione presente e delle speranze future.

Questo individualismo apre la strada al secolo Decimo Nono, secolo del Romanticismo e della virtù del singolo, spazzando via l’Illuminismo e i suoi “cittadini del mondo”. Non deve sorprendere che Beethoven provi simpatia o quantomeno sia stato contagiato da queste sensazioni. Egli le respirò fin dalla gioventù, poiché aveva diciannove anni al momento della presa della Bastiglia, poco più di trenta nel periodo del massimo fulgore napoleonico e quarantaquattro al tempo del Congresso di Vienna; e quando morì, i primi moti rivoluzionari erano già scoppiati da almeno sei anni. Non è un caso che il suo segretario Schindler abbia bruciato circa i due terzi dei Quaderni di conversazione (tramite i quali Beethoven conversava con gli amici, a causa della sordità), poiché contenevano a suo dire giudizi troppo espliciti sul potere costituito.


Vienna : Zentral Friedhof


Dove batte il cuore dell’arte beethoveniana è nelle Sinfonie, nelle Sonate per pianoforte e nel Quartetto d’archi. Non mancano affatto però le “emanazioni”: ad esempio i Trii con pianoforte, Sonate per violino o violoncello e pianoforte, oltre alla scrittura degli strumenti d’orchestra e alla struttura stessa delle forme musicali in questione.

La Sinfonia, ad esempio: essa ha origine (quantomeno nella sua forma più attuale) a Mannheim, città tedesca nella quale operarono vari compositori a cavallo delle due metà del Settecento (fra questi anche Mozart), che vantava una delle orchestre più ricche del tempo. Solitamente, dei quattro movimenti che formano la Sinfonia, il primo è quello meglio curato dai compositori; gli altri filano via con maggiore genericità (il tempo lento come secondo, in terza posizione un minuetto, infine un allegro agitato che chiude il tutto). Con Beethoven invece la Sinfonia viene concepita come un ciclo più unitario, spianando la strada al Poema Sinfonico. In alcuni casi (terzo e quarto movimento della Quinta Sinfonia) non c’è interruzione, un movimento segue l’altro. Per non parlare della Sesta Sinfonia, soprannominata Pastorale, in cui ogni movimento rappresenta un quadretto di vita campestre (Sentimenti piacevoli evocati dall’arrivo in campagna, Scena presso un ruscello, Allegra danza di contadini, Temporale, Il rendimento di grazie); a spiegarla è sufficiente la scritta messa in calce alla prima pagina della partitura: «Più espressione di sentimenti che rappresentazione pittorica». Questo processo trova naturalmente il proprio culmine nella Nona Sinfonia, dove una monumentale massa orchestrale unita a coro e quattro voci soliste porta nettamente la secolare esperienza dei “lumi” verso l’800. Non va sottaciuto che pochissime interpretazioni rendono al meglio l’unitarietà di questa Sinfonia, dalla prima all’ultima nota: spesso viene prediletto il finale, con l’Inno alla gioia, a dispetto degli altri tre movimenti (tra cui un meraviglioso Adagio in cui si fondono emozioni di orchestra che esegue e pubblico che ascolta). Per una visione totale di questo monumento della musica, bisogna rivolgersi a Wilhelm Furtwängler.

Vienna : Zentral Friedhof


Non meno acuto il processo di evoluzione imposto da Beethoven al pianoforte. Muzio Clementi aveva già scritto alcuni trattati, parlando delle nuove note conquistate dallo strumento e da un possibile utilizzo del polso anziché del solo braccio. Ma siamo pur sempre in ambito di “scuola”. Con Beethoven irrompe invece l’arte pura. Il pianoforte diventa un’orchestra in miniatura, o quantomeno un ensemble d’archi; il vecchio “basso albertino” imperante nello stile Galante (non indimenticabile branca del Classicismo), viene gettato alle ortiche. La forma-sonata, analoga alla Sinfonia (talvolta con abolizione del minuetto), subisce radicali mutamenti. La Sonata op.26 si apre con un “Tema e Variazioni”. La successiva, op.27 n.1 soprannominata “Quasi una Fantasia”, non ha praticamente una divisione canonica in movimenti, ma è piuttosto un flusso unitario dalla prima all’ultima nota. Da qui si arriva alle ultime Sonate, in particolare la monumentale op.106, della quale maliziosamente lo stesso Beethoven scrisse: «Ecco una Sonata che darà un gran bel filo da torcere ai pianisti per i prossimi cinquant’anni». In realtà il filo da torcere continua ancora dopo due secoli, novello nodo di Gordio per il quale non si è ancora trovato un Alessandro Magno. Le ultime tre Sonate di Beethoven, opp.109 110 e 111, rappresentano un corpus unico: composte tra il 1820 e il 1822, racchiudono in realtà dentro di sé l’intero secolo e forse anche qualcosa del ‘900, nelle loro armonie interrogative e fumose (l’op.109), nell’eterno dipanarsi fra mille rivoli di una stessa cellula musicale (l’arietta dell’op.111).

A questo punto i più scettici potranno domandarsi: ma Beethoven serviva la musica o se ne serviva? Entrambe le cose, compenetrate. Come in un rapporto di amicizia o di amore, come su una barca dove si mischiano la corrente e la forza dei rematori verso un unico obiettivo.

Come Beethoven sia arrivato, nonostante la provenienza culturale dal secolo dei lumi (sia pure un tantino periferica: il “Van” che ne precede il cognome denuncia origini fiamminghe), a rivoluzionare il linguaggio musicale del suo tempo, è di più complessa comprensione. Sicuramente deve aver influito in questo procedimento l’aver vissuto in un’epoca così storicamente inquieta, schiacciata tra la Rivoluzione Francese, l’astro napoleonico e il Congresso di Vienna (che avrebbe dovuto disegnare un secolo di stabilità e invece preparerà un secolo di moti e piccole o grandi rivoluzioni). Per la sensibilità di un musicista questi sono tutti segnali chiarissimi e a cui dedicare la massima attenzione. Ma l’elemento scatenante deve esser stata sicuramente la sordità: l’aver perso il legame più immediato e diretto con la propria arte musicale ha scatenato la fantasia dell’uomo. Come i non-vedenti, che si dice sviluppino un magnifico udito; come quei registi che devastano la psiche degli attori, attraverso prove estenuanti o attese infinite, prima di gettarli nel calderone del palcoscenico, annientandone la personalità per farli meglio aderire al personaggio.


Vienna : Zentral Friedhof - Grab von Beethoven


Dalla musica di Beethoven emergono i tratti salienti dell’uomo, ancorché del musicista. Ascoltate la Sonata per pianoforte op.110 (non a caso priva di dedica, quindi intitolata simbolicamente a sé stesso), sentirete un uomo appena uscito da una grave malattia che rischiava di prostrarlo e che rende grazie ad una superiorità divina. Sul rapporto tra Beethoven e la religione è necessario spendere qualche parola. Come molti altri musicisti, egli non era un abitudinario di liturgie e cerimonie, ma il suo rapporto con Dio scaturiva direttamente dalla professione. In compenso era alquanto moralista, difatti non amava il Don Giovanni mozartiano e la citata stretta sorveglianza sul nipote derivava dal timore che questi frequentasse prostitute.

Ascoltate il finale in maggiore della Quinta Sinfonia, è il trionfo della volontà e della personalità, dopo i terribili rintocchi del destino che avevano inaugurato il primo movimento.

Ascoltate l’adagio della Sonata per pianoforte op.106, sentirete tutta la drammaticità e la solitudine dei momenti più tristi della vita di Beethoven.

Un grande pianista e grandissimo interprete beethoveniano, lo svizzero Edwin Fischer, lamentò un giorno: «Oggi siamo diventati troppo raffinati e troppo colti. Per ogni pagina di musica di Beethoven abbiamo tre pagine di spiegazioni. Sappiamo tutto … ma non sappiamo quali soli lo illuminavano, quali grida gli spezzavano il cuore». Qualcuno l’ha considerato un invito al dilettantismo, invece è un monito solenne: la cultura non è un museo delle cere da spolverare pochi minuti prima della visita pubblica, ma un giardino da coltivare e curare di giorno in giorno. Con fiducia e rispetto. Ciò che Beethoven non ebbe mai da Vienna e dai viennesi, tranne che ovviamente al momento della morte.

Giovanni Piana


Undergrowth Spirit

sabato 19 novembre 2011

Buon Compleanno, Giovi!

Giovanni

Mi avevano visitato il giorno prima e mi avevano assicurato che ti avremmo visto a dicembre..così io il mattino dopo ho fatto i soliti lavori di casa con un po' di mal di pancia e tua nonna mi ha rimpinzato come al solito, anzi, ho mangiato il fegato con la cipolla e altre porcherie che ora non ricordo (se mi avessero dovuto fare un cesareo..stavo fresca)...poi siamo andate di corsa in ospedale con la valigia, anche se il tuo dottore mi aveva detto che sicuramente era un falso allarme.
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Siamo partite di casa in taxi alle due del pomeriggio: sei nato neanche tre ore dopo. E ha cominciato a nevicare, così il tuo dottore è rimasto bloccato nel suo altro studio a Savona mentre io, a Genova, venivo ricucita come una cima genovese...avevi tanta fretta che sei uscito con una "spallata".

Non eri una meraviglia, mi dispiace dirlo, tutto capelli ...neri ... e a spinacio.

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Quando poi sei diventato tutto giallo e sei finito in fototerapia, come accade spesso a chi nasce un po' prima, pensavo che avevamo toccato il fondo: invece no, il fondo l'ho toccato io quando la purga per la montata lattea ha fatto effetto mentre attraversavo tutto l'ospedale per venirti a trovare nel reparto neonatale (chissà se il primario lo ha mai saputo che mi hanno permesso di usare il suo bagno privato).

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Ma siamo una bella squadra, noi due.

Anche quando vivevi a sbafo nella mia pancia: tu non te lo ricordi, ma eri molto obbediente (allora)...quando ti ho rimproverato perché ogni volta che io mangiavo tu ti puntavi contro il mio stomaco "Guarda che se io non riesco a mangiare..tu digiuni..." ti sei spostato subito e non hai più dato fastidio a pranzo.

Per tutte le altre volte, bastava che io e papà cantassimo insieme "quel mazzolin di fiori" e tu ti calmavi subito.

Quanto ai capelli, col tempo si sono arricciati come quelli di tuo padre e per un po' pensavano che tu fossi una bambina.

Quando poi sei diventato allergico.. quanti trenini ho disegnato coi pennarelli perché tu stessi fermo a fare l'aerosol..ma oggi abbiamo un cane da dieci anni e tu stai bene.

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Sì, una squadra, tutti quanti. Tu in Conservatorio e io a fare le tue versioni di greco mentre tuo padre lavava i piatti al posto mio: ma dopo il Ginnasio non hai avuto più bisogno di nessuno, ti sei sempre fatto tutto da solo.

Non sono granché come madre, un po' meglio come amica, credo: ma tu ti offendi quando credono che lo sia davvero o ci prendono per una coppia come a Lucca, due anni fa.

Quando un figlio diventa più alto di sua madre ...

Buon compleanno, Giovanni!

ps. le foto di Giovanni da piccolo le avevo scattate  vent'anni anni fa con la Contax che era subito finita nel cassetto..costava troppo fare foto con un'analogica...poi le ho rifotografate con la compattina (Milady è arrivata dopo) e rielaborate oggi con Cs5...se allora avessi continuato non sarei quella principiante che sono..ma del senno di poi...