Cade in Autunno
Ciò che più non mi serve:
le non parole.
Riyueren
... ricordo anni fa uno stage (come uditore) sull'Ikebana, la meraviglia delle composizioni silenziose eppure così melodiose e armoniche, anche nelle asimmetrie, il mio dolore per i fiori scartati e gettati, lo stupore per l'accresciuta bellezza dei pochi lasciati sul proprio stelo, infilzati però in quegli strani aggeggi che sembravano irti di chiodi.
Mi domandavo se c'era sofferenza in tutto questo, nell'essere eliminati o conservati, perché il mio dolore, nel guardare i risultati di entrambe le scelte, era identico.
Me lo domandavo...ed ho chiesto, ricordo: la maestra giapponese mi disse che sono i fiori stessi a richiedere tutto questo, ad accettarlo.
Allora non capivo, una parte di me non accettava tutto questo dolore. Comincio a comprendere solo ora, anche se mi è ancora difficile accettare.
Le immagini mi chiamano, mi dicono come vogliono essere trattate, le mie sensazioni mi chiedono le parole per essere espresse e sanno già quali...devo solo ascoltare.
Ma fare di me un'ikebana...fa male strapparsi di dosso i fiori e le foglie, fa male scegliere, fa male gettare. Ed è doloroso anche quel che rimane, nonostante le ferite sul mio stelo sprigionino luce e gioia.
Fa male sapere che tutto poi dentro di noi è semplice sabbia, colorata, pazientemente composta giorno dopo giorno, da un respiro all'altro, come un mandala....
Fa male sapere che la dissoluzione è necessaria, una volta terminato il disegno.
Fa male, perché il silenzio è amaro...come ogni medicina che si rispetti.
E fa...meraviglia, sì, meraviglia, rendersi conto che i frammenti non sempre vanno raccolti, bensì frantumati più finemente, per mescolarli alle sabbie del disegno perché ci si rifletta la luce.
Ciò che più non mi serve:
le non parole.
Riyueren
... ricordo anni fa uno stage (come uditore) sull'Ikebana, la meraviglia delle composizioni silenziose eppure così melodiose e armoniche, anche nelle asimmetrie, il mio dolore per i fiori scartati e gettati, lo stupore per l'accresciuta bellezza dei pochi lasciati sul proprio stelo, infilzati però in quegli strani aggeggi che sembravano irti di chiodi.
Mi domandavo se c'era sofferenza in tutto questo, nell'essere eliminati o conservati, perché il mio dolore, nel guardare i risultati di entrambe le scelte, era identico.
Me lo domandavo...ed ho chiesto, ricordo: la maestra giapponese mi disse che sono i fiori stessi a richiedere tutto questo, ad accettarlo.
Allora non capivo, una parte di me non accettava tutto questo dolore. Comincio a comprendere solo ora, anche se mi è ancora difficile accettare.
Le immagini mi chiamano, mi dicono come vogliono essere trattate, le mie sensazioni mi chiedono le parole per essere espresse e sanno già quali...devo solo ascoltare.
Ma fare di me un'ikebana...fa male strapparsi di dosso i fiori e le foglie, fa male scegliere, fa male gettare. Ed è doloroso anche quel che rimane, nonostante le ferite sul mio stelo sprigionino luce e gioia.
Fa male sapere che tutto poi dentro di noi è semplice sabbia, colorata, pazientemente composta giorno dopo giorno, da un respiro all'altro, come un mandala....
Fa male sapere che la dissoluzione è necessaria, una volta terminato il disegno.
Fa male, perché il silenzio è amaro...come ogni medicina che si rispetti.
E fa...meraviglia, sì, meraviglia, rendersi conto che i frammenti non sempre vanno raccolti, bensì frantumati più finemente, per mescolarli alle sabbie del disegno perché ci si rifletta la luce.
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