venerdì 5 aprile 2013

Beethoven - Gli ascolti (link n°4) a cura di Giovanni




Non volendo però dare la sbagliatissima impressione che solo gli artisti d’area austro-tedesca sappiano cimentarsi con Beethoven, vogliamo rivolgerci ad uno dei più grandi pianisti del secolo scorso, il sovietico Emil Gilels. Artista dal repertorio immenso, nella migliore tradizione russa, sofferse per l’intera esistenza un certo dualismo con un altro grande, Sviatoslav Richter. Genio e regolatezza il primo, genio e sregolatezza il secondo. Gilels è sempre stato descritto, ingiustamente, come “l’accademico” e Richter come “il fuoriclasse”.

 In realtà Gilels era un artista completo ed inarrivabile sotto tutti i punti di vista, e verso i cinquant’anni d’età dimostrò egli stesso di saper stupire il pubblico: come quando a Locarno, ormai prostrato da gravi problemi cardiaci, sostituì le micidiali Variazioni su tema di Paganini di Brahms con sette Sonate di Domenico Scarlatti; tutti pensavano che sarebbe stata una delusione ed una noia, invece fu probabilmente l’ultimo concerto memorabile di Gilels in area italiana, l’ultimo di una lunga serie beninteso.

A differenza di Richter, più selettivo nel repertorio, Gilels incise più volte l’integrale dei Concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven con collaboratori ed orchestre non sempre sovietiche. Dovendo fare necessariamente delle scelte per questa pubblicazione, abbiamo scelto di orientarci non già sull’epico Concerto-Imperatore (il Quinto), ma sul poco conosciuto Quarto.

 Una delle creazioni più enigmatiche e complesse di Beethoven, dove è incredibilmente il pianoforte solista ad annunciare la più piccola cellula tematica, poi ripresa dall’intera orchestra. 

Notevole anche il secondo movimento, un inciso apparentemente breve, in realtà ricco di micro-tensioni musicali scambiate fra solista ed archi. 

Il terzo infine è un’autentica esplosione di gioia. Backhaus paragonò questo passaggio tra secondo e terzo movimento alla leggenda di Orfeo che angosciato cerca di condurre l’amata Euridice al di fuori degli abissi dell’Ade; entrambi poi fuggono verso la riconquistata libertà, in un inedito finale positivo del mito.

Quella della felicità universale è una delle assi portanti del credo beethoveniano, ben espressa nell’opera Fidelio e nell’Inno alla Gioia. Un incondizionato amore universale che non guardava in faccia nessuna convenzione sociale.

Il discorso sulla cellula d’apertura del Quarto Concerto per pianoforte e orchestra mi permette una piccola digressione tecnica sulle capacità compositive di Beethoven. A differenza delle lunghe e sinuose melodie di Mozart e Haydn, Beethoven costruiva il proprio materiale basandosi su piccoli spunti poi arricchiti grazie all’inarrivabile tecnica orchestrale e pianistica. Il celeberrimo ed immortale incipit della Quinta Sinfonia è costituito da otto note: non c’è altro. Il primo movimento prosegue affidando a varie sezioni del complesso orchestrale il prosieguo dell’idea di base, intramezzato da alcuni spunti melodici.

 La genialità partendo da ingredienti minimi: ecco uno dei segreti dell’arte di Beethoven.

Giovanni Piana

Feathers

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