Quel che rimane, la realtà del mondo,
Quell’ultimo colore delle cose
Denso di pioggia e caldo di silenzi,
Mi abita dentro al cuore e sullo sguardo.
Come le foglie, mani di memoria
Intrecciano respiri insieme al vento.
Dove la Terra sogna è il mio cammino.
Riyueren
… ho un’altra piccola storia da raccontare. Vera, ma non ci crederà nessuno: è troppo strana. Se non fosse successa a me, anch’io stenterei a crederci.
Eppure è così. Tutto è cominciato con il viaggio a San Martino di Lupari.Ed il perché del titolo del mio post, “Mani della Memoria”, è legato a questa foto (insignificante, certo, ma non per me).
“ … Caro Andrea, questa lettera è per te. La mando attraverso il tempo, quindi non occorre il francobollo.
Non ti ho mai conosciuto, ma tu fai parte di me: sei il papà di mio nonno e il nonno del mio papà.
Se tu non ci fossi stato … non ci sarei neppure io.
Non so molto, di te: solo quel che mi hanno raccontato. E sembrano più leggende, che ricordi veri.
Mia nonna diceva che eri scappato di casa da ragazzo, di notte. Sei arrivato a Genova, da San Martino di Lupari. Da qui hai mandato una cartolina alla tua mamma: c’erano sopra le navi, una veduta del porto.
Così lei, povera donna, è corsa dal parroco, disperata, a farsela leggere: credeva che tu volessi imbarcarti per l’America.
Invece eri venuto qui a cercare lavoro, in ferrovia.
Hai sostituito un caposquadra durante la costruzione della “galleria lunga” del Turchino: lo chiamavano “il Moro”, e così “Moro” sei diventato anche tu.
E ti sei fermato in paese: hai fatto lì il tuo nido, la tua casa.
Ho almeno due versioni di questo fatto.
Nella prima ci sei tu che t’innamori della ragazza più bella del paese, ma il tuo futuro suocero esige che chi la sposa deve prendersi in casa anche la sorella zoppa.
Nella seconda, il tuo futuro suocero ti chiede se sei “di questo re”e siccome tu non lo sei (eri nato nel Regno austro ungarico) il matrimonio va a monte.
In entrambe le versioni, va a monte.
Così finisci per sposare Annamaria, che diventerà la mia bisnonna.
E poi sei andato in bicicletta sino in Svizzera a cercare lavoro.
E raccontavi a puntate la storia della tua vita all’osteria del paese, davanti a un bicchiere di vino.
Come puoi vedere dalle foto, sono a San Martino di Lupari. Sì, ci sono arrivata, finalmente: è da quando ero bambina, da quando avevo sentito parlare di te per la prima volta, che desidero vedere i luoghi che tu hai visto, respirare l’aria che tu hai respirato.
Dal 1869 al 2010 sicuramente c’è differenza.
Mia nonna diceva che eri scappato di casa da ragazzo, di notte. Sei arrivato a Genova, da San Martino di Lupari. Da qui hai mandato una cartolina alla tua mamma: c’erano sopra le navi, una veduta del porto.
Così lei, povera donna, è corsa dal parroco, disperata, a farsela leggere: credeva che tu volessi imbarcarti per l’America.
Invece eri venuto qui a cercare lavoro, in ferrovia.
Hai sostituito un caposquadra durante la costruzione della “galleria lunga” del Turchino: lo chiamavano “il Moro”, e così “Moro” sei diventato anche tu.
E ti sei fermato in paese: hai fatto lì il tuo nido, la tua casa.
Ho almeno due versioni di questo fatto.
Nella prima ci sei tu che t’innamori della ragazza più bella del paese, ma il tuo futuro suocero esige che chi la sposa deve prendersi in casa anche la sorella zoppa.
Nella seconda, il tuo futuro suocero ti chiede se sei “di questo re”e siccome tu non lo sei (eri nato nel Regno austro ungarico) il matrimonio va a monte.
In entrambe le versioni, va a monte.
Così finisci per sposare Annamaria, che diventerà la mia bisnonna.
E poi sei andato in bicicletta sino in Svizzera a cercare lavoro.
E raccontavi a puntate la storia della tua vita all’osteria del paese, davanti a un bicchiere di vino.
Come puoi vedere dalle foto, sono a San Martino di Lupari. Sì, ci sono arrivata, finalmente: è da quando ero bambina, da quando avevo sentito parlare di te per la prima volta, che desidero vedere i luoghi che tu hai visto, respirare l’aria che tu hai respirato.
Dal 1869 al 2010 sicuramente c’è differenza.
Ma non ha importanza: in questo breve viaggio, durato un solo mattino, i miei occhi hanno visto al di là di quello che c’era veramente.
Hanno visto oltre il tempo: è stato come riannodare un filo spezzato.
Tornata a Portogruaro, in albergo, ora posso dirlo, ho ricevuto un tuo regalo. Attraverso il tempo, sì, penso sia stato così.
Ho preso tra le mani il mio codino, per lisciarlo un poco, lo faccio spesso, quando penso.
E all’improvviso, pensando alla mia assoluta incapacità di fare le trecce, mi sono venute in mente le donne della mia famiglia, le tue figlie, sorelle del nonno, e anche quelle che non ho mai conosciuto.
Ho pensato:”Chissà quante volte avranno intrecciato i loro capelli, mentre io non sono capace per niente”.
Ora lo so che non ci crederà nessuno, ma le mie dita hanno cominciato a muoversi, come se danzassero, sul mio codino, e me lo sono ritrovata trasformato in treccina.
Da quel giorno ho imparato a farmi la treccia da sola … io, che non ero mai stata capace neppure di farla ad altri.
Questo grazie a te, Andrea, e alle “mani della memoria”.
Una volta di più ho capito che abbiamo tutto, dentro di noi, tutto quello che è stato, anche molto tempo prima di noi … dobbiamo solo” lasciare che sia”.
Un abbraccio dalla tua bisnipote.”
Hanno visto oltre il tempo: è stato come riannodare un filo spezzato.
Tornata a Portogruaro, in albergo, ora posso dirlo, ho ricevuto un tuo regalo. Attraverso il tempo, sì, penso sia stato così.
Ho preso tra le mani il mio codino, per lisciarlo un poco, lo faccio spesso, quando penso.
E all’improvviso, pensando alla mia assoluta incapacità di fare le trecce, mi sono venute in mente le donne della mia famiglia, le tue figlie, sorelle del nonno, e anche quelle che non ho mai conosciuto.
Ho pensato:”Chissà quante volte avranno intrecciato i loro capelli, mentre io non sono capace per niente”.
Ora lo so che non ci crederà nessuno, ma le mie dita hanno cominciato a muoversi, come se danzassero, sul mio codino, e me lo sono ritrovata trasformato in treccina.
Da quel giorno ho imparato a farmi la treccia da sola … io, che non ero mai stata capace neppure di farla ad altri.
Questo grazie a te, Andrea, e alle “mani della memoria”.
Una volta di più ho capito che abbiamo tutto, dentro di noi, tutto quello che è stato, anche molto tempo prima di noi … dobbiamo solo” lasciare che sia”.
Un abbraccio dalla tua bisnipote.”
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